Dada, che si rifiutò di sparare sui manifestanti in Iran, esule a Firenze

Questa è una storia vera, perché spesso la realtà supera la fantasia, chiedo quindi ai lettori di fidarsi del resoconto anche se potrà apparire a tratti sconcertante.

È la storia di un sopravvissuto. La storia di un uomo che ha attraversato la Storia controversa del suo paese denominato Iran, nonostante i suoi abitanti preferiscano chiamarlo Persia, e si definiscano persiani. Un paese il cui antico popolo è tra i primi che si studia a scuola, soprattutto tramite i “reportage” greci, e che si è imposto nell’immaginario attraverso imprese come quelle delle Termopili (ed in quel caso ebbero sfortuna). Questo per dare l’idea della complessa civiltà di cui questi uomini sono eredi.

Ho conosciuto Dada a Firenze nel 2018. Abbiamo lavorato insieme nella stessa squallida cooperativa dove ci occupavamo di pulire le aree verdi, cambiare i sacchetti della spazzatura e roba così. Abbiamo iniziato a parlare, prendendo confidenza, e infine ci siamo narrati le nostre esperienze di vita. Rimasi molto colpito dai suoi racconti, che divenivano sempre più forti emotivamente. Notavo la sua difficoltà ad aprirsi, nonostante il bisogno di condividere quanto sto per scrivere. Spesso il discorso si interrompeva perché la commozione era troppo forte.

Dada è nato a Teheran nel 1970. La sua è una famiglia benestante, suo padre un imprenditore. Tuttavia decide di intraprendere la vita militare, addirittura falsificando un documento per entrare nell’esercito prima del tempo, dove passerà venti anni fino a comandare 200 uomini. Dada così attraversa un’epoca che va dalla cacciata dello Scià, messo sul trono con un colpo di stato combinato tra USA e Regno Unito, all’instaurazione della Repubblica Islamica ad opera di Khomeynī, fino alle crescenti sanzioni statunitensi, alle lotte interne (spesso manovrate anche dalle potenze occidentali interessate alle risorse petrolifere) e alla lunga guerra con l’Iraq (1980-1988). Nel 1989 il conservatore Khamenei succede a Khomeynī e nel 1997 arriva Khatami. Sarà ancora un periodo segnato da omicidi politici, brogli elettorali, arresti dei dissidenti e così via. Studenti ed operai, assieme a una formazione femminista in crescita, portano alla creazione di un movimento che reclama una democrazia laica; purtroppo il governo e la famigerata polizia segreta ordinano la strage. Molti militari, fortunatamente per la folla, si rifiutano di sparare. I soldati che disobbediscono sono dichiarati disertori e chi, come Dada, che aveva creduto nella prima rivoluzione di Khomeynī, si ritrova ad affrontare un incubo da cui pare impossibile svegliarsi.

Comincia così l’odissea del carcere militare. E l’espressione odissea dice ancora poco. Il nostro protagonista sarà costretto a vivere per circa tre anni in una cella, o meglio in un buco, dove si dorme, si mangia (scarsamente) e si caca. Una realtà inimmaginabile per molti di noi. Una realtà che abbiamo visto solo nei peggiori film di guerra o dell’orrore. Vengono spezzate dita, ossa, inflitte torture psicologiche, e tutto quello che la vostra fantasia macabra vi può proporre. L’acqua che si beve è spesso fanghiglia ed anche gli organi interni, messi già a dura prova dalla tortura, si infettano con epatiti e si indeboliscono.

Nella sua tragedia, Dada ha la fortuna di avere ancora una famiglia benestante che non si arrende quando, ufficialmente, lo danno per disperso. I genitori, per tre anni, lo cercano ininterrottamente, fino a trovarlo a costo di corrompere la polizia. Il padre, industriale, venderà la propria fabbrica per sostenere le spese. In questo modo, Dada, controllato dai servizi segreti, riesce ad uscire dal carcere.

Gli verrà detto che sua madre è morta e, così, con questo stratagemma, sarà accompagnato al funerale di famiglia. Dada è sconvolto e turbato, un’altra sofferenza si aggiunge alle altre e versa lacrime amare.

Arrivato davanti casa viene fatto entrare e gli tolgono le manette. I parenti, commossi, lo salutano e lo abbracciano. Poi (provate ad immaginare lo stupore) Dada vede la madre, data per morta, seduta in poltrona, che gli fa cenno di avvicinarlesi per salutarla. Accade tutto molto velocemente.

Un bacio a tutt@, poi il padre dice: “Prendi quella borsa ed esci dal retro”. Lì lo aspetta una macchina che lo porterà via dal carcere, dalla sua casa, e dalla sua vita in Iran.

Da quel momento inizia la fuga del disertore. Chilometri su chilometri macinati, in macchina o a piedi, che lo porteranno lontano da Teheran, passando dalla Turchia e dalla Grecia, per approdare infine in Italia.

Dada non tornerà più nel suo paese, né rivedrà i suoi parenti che, dal momento della sua fuga, saranno tenuti sempre in stretta sorveglianza e con un breve periodo di detenzione per i genitori.

In Iran i mezzi di comunicazione sono tutt’ora sotto un rigido controllo e l’utilizzo di internet è molto limitato, soprattutto se lo confrontiamo con gli standard occidentali. L’escamotage per poter avere notizie dai familiari e sul paese è connettersi per meno di un minuto facendo ricorso ad un complicato sistema di account e siti che si aprono e si chiudono velocemente per non farsi rintracciare.

Dada, come molti altri esuli persiani, ci tiene molto a far conoscere al resto del mondo la situazione iraniana e la sua storia. Speriamo di averlo aiutato al meglio in questo suo desiderio che, come il nostro, è la ricerca e la conoscenza della verità storica e politica dei mondi nascosti dietro il gioco di specchi dell’informazione mainstream. Nel nome della libertà e della dignità delle persone come Dada.

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