La Costituzione è una zolla di terra: Paolo Pileri

Paolo Pileri, in piedi davanti alla cattedra, svelò il misterioso oggetto fin lì celato da uno straccio, sui volti dei ragazzi apparvero i segni dello stupore: una zolla di terra alta almeno 40 centimetri! Quel giorno il professore, docente al Politecnico di Milano di una materia dal nome difficile, teneva una lezione un po’ speciale. Non era all’università e nemmeno in un liceo; era in una scuola, questo sì, ma l’Istituto tecnico agrario di Pescia era in quel momento, semplicemente, il luogo scelto per un seminario sulla Costituzione organizzato dalla sezione Anpi locale. Ad ascoltare la “lezione” sull’articolo 9 (quello che “tutela il paesaggio” eccetera) c’era un gruppo di studenti medi superiori della zona, giovani venuti a chiarirsi le idee sulla nostra carta fondamentale, spesso evocata e lodata, ma anche tradita e per certi versi misteriosa. “Una bussola per la democrazia”: così si intitola l’annuale seminario pesciatino dell’Anpi, e Pileri, parlando di “Ambiente e Costituzione”, pensò bene di puntare con l’ago né il Sud né il Nord, né tanto meno Ovest o Est, bensì sottoterra. Luogo insolito, per cercare traccia delle “regole” di convivenza dettate dalla più importante delle leggi, ma di lì a poco il prof avrebbe dimostrato che la sua performance – esibire una grossa zolla di terra – non era una trovata fine a sé stessa. Tutt’altro. Una semplice zolla, spiegò ai ragazzi, contiene innumerevoli forme di vita e la sezione verticale mostra una stratificazione che corrisponde alla vitalità della terra, alla sua capacità di nutrire le piante, di assorbire le piogge, di svolgere una funzione essenziale per la salute degli ecosistemi. Sapete quanto tempo serve, chiese il professore ai ragazzi, perché in natura si formi uno strato di terra così? Si rispose da sé: centinaia di anni. Bastano invece pochi minuti per asfaltare una superficie e a quel punto il suolo coperto è perduto per sempre. Il suolo non è rinnovabile.

Paolo Pileri, autore nel 2022 di un libro originale e prezioso, “L’intelligenza del suolo” (editore Altreconomia), si è affermato negli ultimi anni come uno strenuo difensore del suolo, inteso come bene comune; suolo che in Italia viene consumato con aggressiva determinazione, a ritmi indiavolati e con irresponsabile noncuranza per le conseguenze, salvo piangere qualche innocua lacrima di rincrescimento quando un’alluvione, una giornata

di vento forte, uno dei tanti eventi estremi del clima contemporaneo portano distruzione e morte.
Nello scorso mese di agosto, durante la Mostra del cinema di Venezia, Pileri ha fatto notare che gli organizzatori si erano fatti sfuggire l’occasione di celebrare un importante anniversario, i sessant’anni trascorsi dal Leone d’oro assegnato a un film celebre e coraggioso, “Mani sulla città”, di Francesco Rosi. Quel film era una potente denuncia della speculazione edilizia che stava divorando il paese negli anni della ricostruzione e del boom, in un contesto di favoritismi e corruzioni. Un film ancora attuale. “Se ieri”, ha scritto Pileri su Altreconomia.it, “lo sviluppatore immobiliare senza scrupoli e in accordo con il potere politico sbandierava il diritto a una casa con il bagno per aggirare le già blande regole urbanistiche e fare tutto il profitto possibile, scaricando sullo Stato tutta la spesa (il “cinquemila per cento di profitto”), oggi sbandierano la sostenibilità in ogni cosa che fanno, nella favola dei capannoni a emissione zero, nelle costruzioni che piantano boschi per compensare o nelle certificazioni eco-edilizie che di eco hanno nulla e di consumo di suolo sempre moltissimo. Oggi si usa il trucco della fretta della transizione energetica per ottenere carta bianca su qualsiasi deroga o ampliamento di stabilimenti, edifici e capannoni. Per degradare suoli e agricolture. È così diverso da allora? Si invoca la semplificazione per ridurre a un nulla la valutazione ambientale e così via. È tutto così cambiato da ciò che denunciava quel film, al punto che addirittura possiamo permetterci il lusso di non ricordarlo a Venezia in occasione del suo sessantesimo anniversario? Ovvio che no, ma pare proprio che lo abbiamo fatto”. Sì, lo abbiamo fatto, e non per caso.
Il professor Pileri, che per la precisione insegna “Pianificazione e progettazione urbanistica”, sa bene di che parla, quando denuncia l’assenza di una cultura ecologica nel paese e la prevalenza – ancora oggi – degli interessi di costruttori e speculatori, ma è anche un cittadino che si impegna per cambiare lo stato delle cose. Nel 2020 pubblicò un libro – “Progettare la lentezza”, editore People – che mostrava un altro modo possibile di affrontare la vita quotidiana, la convivenza, la proiezione nel futuro. Vivere con lentezza, con un forte senso del limite. Un approccio che Pileri utilizza per progettare scelte urbanistiche di qualità nella consulenza per le amministrazioni pubbliche, e che è all’origine dell’idea di una ciclovia da Venezia a Torino lungo gli argini del Po, un’infrastruttura dolce, lenta, conviviale, in via di realizzazione, sempre ricordando, come ha detto il professore in un’intervista recente alla rivista Terra Nuova, che “le piste ciclabili sono utili se servono a invertire la rotta e a favorire la riconversione verso la mobilità sostenibile. Non bisogna limitarsi ad aggiungerne di nuove, devono essere progettate con l’obiettivo di ridurre il traffico e le strade”.Appunto, si tratta di cambiare rotta, di immaginare una società diversa, tenendo i piedi ancorati a terra, ben coscienti che lì, nel suolo, c’è tutta l’intelligenza di cui abbiamo bisogno.

Da Fuori Binario, novembre 2023

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