Razzismo di polizia. La profilazione esiste anche in Italia e se ne occupa il progetto Yayaah

ISABELLA MANCINI

Al grido di “I can’t breathe” – non posso respirare – in migliaia scesero in piazza in solidarietà al movimento “Black Lives Matter” in quell’inizio di estate del primo Covid del 2020, in seguito all’assassinio di Floyd, soffocato dalla polizia. Quell’episodio come quello di altre decine di neri, prevalentemente uomini ma anche donne, è il frutto più evidente di ciò che significa la profilazione etnica e razziale, ovvero: “l’uso da parte della polizia, senza giustificazione oggettiva e ragionevole, di motivi come razza, colore, lingua, religione, nazionalità o origine nazionale o etnica nelle attività di controllo, sorveglianza o indagine”. Ed ovviamente è qualcosa che non accade solo ed esclusivamente oltreoceano.

L’Agenzia europea per i Diritti fondamentali (sito web www.fra.europa.eu) non più tardi di questo luglio, a causa delle numerose evidenze di politiche razziste nei paesi dell’Unione, ha richiamato gli Stati membri a mettere in campo azioni concrete contro le discriminazioni e le violenze nei confronti delle minoranze etniche nel Continente. “Nessuno dovrebbe essere preso di mira solo per il colore della pelle – afferma il direttore della FRA, Michael O’Flaherty – Nessuno dovrebbe aver paura di un fermo della polizia”.

Secondo un report della FRA, solo il 14% della popolazione europea ha dichiarato di essere stata fermata e perquisita dalla polizia, la percentuale sale al 34% con persone etnicamente identificabili. Ci sono alcuni paesi della comunità europea in cui l’80% delle minoranze etniche ha percepito i controlli e le ispezioni della polizia come derivati dalla profilazione, quindi discriminatori e repressivi.

Al termine dei tre giorni (auto in fiamme e 875 arresti) seguiti dall’assassinio del 17enne Nahel nel sobborgo parigino di Nanterre, la portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani dichiarò che fosse “giunto il tempo, per il Paese, di affrontare seriamente i problemi radicati di razzismo e discriminazione razziale tra le forze dell’ordine”.

“Un fenomeno di cui si parla estremamente poco in tutta Europa, in Italia ancora di meno – ci dice Robert Elliot, tra i fondatori dell’associazione Cittadini del mondo di Ferrara, che guida il Progetto Yaya (progettoyaya.org) indagine sulla realtà della profilazione etnica da parte delle forze dell’ordine -. È seguendo l’andamento delle notizie da giornali e riviste, grazie a “Occhio ai media”, che ci siamo resi conto che le forze dell’ordine, durante il lockdown, fermavano prevalentemente persone etnicamente identificabili. Durante quel periodo (lo stesso delle mobilitazione Black Lives Matter in Usa e Italia, nda) c’è stata una pubblicazione massiccia di articoli riguardanti controlli covid, stranieri ed espulsioni, un cortocircuito”.

“La connessione tra immigrati/immigrazione e povertà/illegalità – conferma Adam Atik, presidente di Cittadini del Mondo – fa sì che anche noi delle prime generazioni multiculturali, ogni volta che usciamo fuori di casa, anche solo per buttare la spazzatura, ci portiamo dietro i documenti”.

Anche da qui la nascita del progetto Yaya, pensato come modo per incanalare un dolore e una rabbia: “Ad ottobre del 2021 un nostro giovane amico, Yaya Yafa, di 22 anni, ha perso la vita in un drammatico incidente sul lavoro all’interporto di Bologna. Avevamo perso un amico, non volevamo perderne altri, ma per rendere evidente a tutti quello che sappiamo informalmente servono dati, testimonianze. Molti si vergognano a dire di essere fermati in continuazione dalla polizia, altri hanno paura di avere ripercussioni, magari che non gli venga rinnovato il permesso di soggiorno”, racconta Rachid Abdoul Camara.

Nei primi mesi del 2023 il progetto Yaya ha creato uno spazio, virtuale ed anonimo, in cui poter lasciare le proprie testimonianze, creato una rete a livello nazionale di realtà che si occupano di diritti e affermazione dei diritti di cittadinanza.

“Tra poco uscirà anche la guida legale e di comportamento – ricorda Giulia Reali, membro del Progetto Yaya – che ci permetterà di lasciare nelle mani di chiunque ne abbia bisogno un vademecum per conoscere i propri diritti e doveri, così come quelli delle forze dell’ordine”.

Testimonianze da nord a sud. E la Toscana?

Intervista con Rahel Sereke e Kwanza Musi Dos Santos, attiviste antirazziste

Il progetto Yaya al momento non ha segnalazioni dalla Toscana. Eppure nel suo cuore, Firenze, si sono registrati dei fenomeni di violenza estrema nei confronti di persone nere, indiscutibile segno che il razzismo è radicato anche in questo territorio. Così abbiamo pensato di approfondire la tematica grazie all’aiuto di Rahel Sereke, attivista antirazzista, con sede e punto di vista milanese, e Kwanza Musi Dos Santos, consulente Diversity management, con base a Roma.

“A Milano nel giugno del 2021 c’è stato un intervento molto violento della polizia su un gruppo di giovani afrodiscendenti, concluso con l’identificazione di 12 persone, l’arresto e la denuncia di altri due giovani, che ci ha portato ad aumentare l’intensità di lavoro politico sul tema della profilazione etnica – racconta Rahel Sereke -. La popolazione milanese è composta per il 25% da persone con background migratorio: quell’episodio è stato la scintilla per spingere sull’acceleratore, mobilitarci. Con un duplice obiettivo: la tutela legale di chi è stato coinvolto suo malgrado nell’evento e mettere a punto un questionario efficace che facesse emergere il fenomeno”.

“Con Questa è Roma – fa sapere Kwanza Musi Dos Santos – siamo stati a parlare anche con i vertici della polizia che ci dicono che questi sono solo fenomeni marginali e non di sistema: mancano i dati. Noi sappiamo che i fermi per motivazione razziale non sono stati uno o due. Siamo in rete tra associazioni che si occupano del fenomeno: ora serve creare una evidenza dei fatti. E c’è il ruolo dei media: il connubio tra immigrazione e criminalità è politico ma la grancassa la fanno giornali e televisioni”.

Permesso di discriminazione

La profilazione razziale in Italia non è un reato

Il Comitato ONU per l’eliminazione delle discriminazioni razziali si è attivato su segnalazione dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) prendendo atto di un generale quadro discriminatorio. “Il Comitato nota con preoccupazione l’uso di sistemi di riconoscimento facciale da parte delle forze dell’ordine, che possono colpire in modo sproporzionato alcuni gruppi etnici, come i Rom, i Sinti e i Camminanti, gli africani e le persone afrodiscendenti, così come gli immigrati, e che possono portare alla discriminazione razziale”, ha scritto l’organismo ONU nelle sue osservazioni conclusive, concentrando l’attenzione sulle “informazioni relative ad un elevato numero di casi di abusi razzisti e maltrattamenti” da parte delle forze dell’ordine. Il Comitato ha di conseguenza raccomandato all’Italia di includere nella propria legislazione il divieto di profilazione razziale, di garantire la trasparenza nell’uso degli algoritmi di riconoscimento facciale in modo da non compromettere il principio di non discriminazione e il diritto all’uguaglianza davanti alla legge. Queste osservazioni sono del 31 agosto del 2023.

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