Troppi PFAS anche in Toscana


Conosciuti come “inquinanti eterni”, sono dappertutto e l’Italia non ha una normativa che ne limiti i livelli

I PFAS sono un gruppo di sostanze la cui tossicità è nota fin dagli anni ’60; si stima che ne esistano più di 300.000 varietà. Correlazioni fra esposizione a queste sostanze e una serie di malattie sono note da decenni: ipercolesterolemia, colite ulcerosa, malattie della tiroide, cancro ai testicoli, cancro del rene; è stata riportata anche la diminuzione dell’efficienza del sistema immunitario con la conseguente riduzione dell’efficacia dei vaccini. I PFAS sono i mattoncini con cui si realizzano moltissimi oggetti di uso quotidiano che devono essere inerti e resistenti al calore e all’acqua: padelle antiaderenti, pelli e tessuti impermeabili, carta da forno, gore-tex, teflon, colle, coloranti, rivestimenti elettrici, protesi. La loro resistenza chimica è tale che niente è capace di degradarli.

C’è chi si è spinto a definirli “inquinanti eterni”. Questa persistenza determina la loro continua accumulazione, principalmente attraverso le acque sia sotterranee, di solito usate per gli acquedotti, sia superficiali, fonte primaria per l’irrigazione. Il Veneto sembra essere la regione con la più vasta contaminazione d’Europa, causata dallo sversamento non controllato da parte della Miteni, azienda chimica ormai fallita ma i cui danni non sono esauriti: i suoi PFAS hanno raggiunto le falde e si sono propagati a terreni, cibi, animali. Si stima che il 98% della popolazione mondiale presenti PFAS nel proprio sangue. Ognuno di noi ha PFAS nel sangue, che si aggiungono a microplastiche, particolato atmosferico, pesticidi. Nonostante queste evidenze, i PFAS non sono regolati in alcun modo. Negli Stati Uniti, l’agenzia per la protezione ambientale (EPA) ha indicato che il livello tollerabile di PFAS nelle acque deve essere zero. La Germania adotta un livello tollerabile pari a 100 nanogrammi per litro (ng/L) nelle acque, limite portato a 30 ng/L per quelli più pericolosi.

L’annuario dei dati ambientali 2022 dell’ARPA Toscana riporta che la presenza di PFAS è stata riscontrata nel 70% delle acque superficiali e nel 30% delle acque sotterranee analizzate in diversi siti, e nel 100 % dei campioni di biota. Il 37% dei campioni di acque superficiali conteneva PFAS in concentrazioni superiori agli standard di qualità ambientale. Tutto il bacino dell’Arno risulta contaminato: a partire da Firenze dove si sono rilevati 36 ng/L, i PFAS hanno raggiunto i 460 ng/L a Carmignano. L’accumulo di PFAS nel biota è il motivo principale del loro ingresso nella catena alimentare umana e animale. Quantità superiori a 1.200 nanogrammi per chilogrammo sono state misurate nel biota delle acque di Capalbio, Piombino, Grosseto, Aulla, Lucca, Pisa, Viareggio, Castiglione della Pescaia, fino a raggiungere i 4.060 ng/Kg a Barberino e i 5.400 a Volterra. A Rosignano Marittimo, sede della Solvay, i PFAS hanno raggiunto i 2.600 ng/Kg.

Neanche l’isola di Capraia è esente da contaminazione (80 ng/Kg). Un primo abbozzo di regolamentazione dei PFAS in Italia era stato proposto da aziende ed associazioni (da segnalare lo sforzo eroico delle Mamme-No-PFAS in Veneto) al ministro Costa; l’iniziativa è naufragata con la caduta del governo Conte. Greenpeace è oggi impegnata in una campagna di divulgazione del pericolo dovuto alla diffusa presenza di PFAS e sta proponendo una legge di iniziativa popolare che proibisca la produzione e l’uso dei PFAS in Italia. La petizione si può firmare sul sito di Greenpeace: bit.ly/3NfG4Xx.

Autore

2 commenti su “Troppi PFAS anche in Toscana”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *